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Dischi: 12 classici che non ti aspetti

Si comprano, ormai è risaputo, sempre meno cd e dischi.  La musica è facilmente ascoltabile da piattaforme come Spotify e Youtube, e singoli e album si trovano su Itunes, senza avere l’ingombro “fisico” del disco o del cd. Ma noi ci definiamo  – prendendoci anche un po’ in giro – “fondamentalisti” della musica, e a noi fondamentalisti piace avere a casa proprio quell’ingombro fisico, il disco, da disporre in ordinate file sulle mensole, magari in ordine alfabetico o per genere, come più si preferisce. Da veri maniaci insomma. A parte il collezionismo, la ragione che ci fa preferire il cd o il disco in vinile è anche un’altra. Da Spotify e da Youtube in genere si ascolta una singola canzone, o più canzoni in maniera spesso disordinata e casuale. Con il supporto fisico invece si tende ad essere più attenti all’album come prodotto artistico completo in sè, come sequenza di brani legati da un unico intento artistico, da una tematica o accomunati semplicemente dal particolare momento in cui sono stati composti. La questione sarebbe complessa e non è questo il momento per affrontarla interamente. Quindi veniamo a noi.

Ci sono alcuni album entrati nella storia della musica, che possiamo definire “classici”, come “classici” della letteratura definiamo la Commedia di Dante,  i Promessi sposi di Manzoni o il Don Chisciotte di Cervantes. Con questo post vogliamo consigliarvi 12 classici della musica “che non ti aspetti”, quei cd/dischi che ogni appassionato dovrebbe avere o quantomeno ascoltare. Il tutto, sia ben chiaro, è opinabile e dettato dai nostri gusti personali.
In questo breve elenco non troverete dischi celebri come Sgt. Pepper dei Beatles, o Dark Side of the Moon dei Pink Floyd. Intendiamoci, sono due grandissimi dischi, immortali e da avere, con delle copertine che hanno fatto epoca e con una tracklist che ancora oggi conserva intatto il suo fascino.
Quello che vogliamo fare però, è consigliarvi dei classici inaspettati, un po’ più defilati, ma non per questo meno belli ed importanti.

(I primi sei album li segnala Roberta Cacciapuoti, i rimanenti sei li segnala Francesco Rauccio.)

Eccoli qua:

1. “The Joshua Tree” – U2. Pubblicato il 9 marzo 1987 dalla Island Records. Prodotto da Brian Eno e Daniel Lanois, “The Joshua Tree” ha vinto il premio come album dell’anno alla cerimonia dei Grammy Award del 1988. L’album contiene alcune tra le canzoni più belle della rock band irlandese: Where the streets have no name, I still haven’t found what I’m looking for, With or without you. Esiste del disco un’edizione rimasterizzata del 2007: formato CD oppure formato cd + cd contenente bonus tracks.

2. “The Velvet Underground and Nico”. Questo disco ha probabilmente una delle copertine più famose della storia – disegnata da Andy Warhol – con la sua giallissima banana in primo piano. Sulla copertina non compariva né il nome del gruppo né quello della casa discografica, ma solo la firma dell’artista. Le prime copie del disco invitavano chi la guardava a “sbucciare lentamente e vedere”, e togliendo un adesivo si poteva vedere una banana rosa shocking. Pubblicato il 12 marzo 1967 dalla Verve Records, prodotto da Andy Warhol e Tom Wilson. Il disco è il primo della rock band statunitense di Lou Reed, Velvet Underground, registrato con la collaborazione vocale della cantante tedesca Nico. Il disco contiene alcune delle ballate più celebri della storia della musica mondiale: Sunday Morning, Femme Fatale, I’ll be your mirror. Esiste una Deluxe edition del 2002 che contiene due cd e delle bonus tracks. Esiste anche una Super Deluxe Edition uscita nel 2012 in occasione del 45esimo anniversario dall’uscita del disco (cofanetto contenente 6 cd).

3. “Blue” di Joni Mitchell. Il disco è il quarto album della cantautrice canadese, pubblicato nel 1971 dalla Reprise Records, prodotto dalla stessa artista. Fu sia un successo commerciale che di critica, raggiungendo la ventesima posizione nella Billboard Album Chart del settembre 1971. Il singolo Carey raggiunse la novantatreesima posizione della Billboard Hot 100 Chart. Il disco è sicuramente uno degli album folk più belli mai pubblicati.

4. “Legend” di Bob Marley. Il disco è una raccolta postuma di grandi successi di Bob Marley e del suo gruppo The Wailers, pubblicato nel 1984 a cura di Trevor Wyatt. Il disco contiene alcune tra le più famose canzoni raggae della storia, canzoni che hanno segnato un’epoca e generazioni di amanti del genere: No woman, no cry; Could you be loved, Redemption song; Get up, Stand up; Is this Love. Esiste anche una versione deluxe contenente due cd.

5. “Banana Republic” di Lucio Dalla & Francesco De Gregori. L’album è la registrazione dal vivo del meglio dei 28 brani eseguiti durante la tournée che De Gregori e Dalla suonarono negli stadi italiani nel 1979. La canzone che dà il titolo all’album è la traduzione, effettuata dal solo De Gregori, della canzone Banana Republics scritta e incisa da Steve Goodman e portata poi al successo da Jimmy Buffett. Del brano non esistono versioni in studio eseguite dai due, assieme o separatamente. Le registrazioni sono state effettuate con lo studio mobile “Manor” durante i concerti di Brescia, Verona e Bologna dal tecnico del suono Peter Greenslade. Dal lungo tour estivo di Banana Republic è stato tratto anche un “film concerto dal vivo” per la regia di Ottavio Fabbri. Il film, oltre ad interviste e spezzoni documentari del tour in questione, contiene molte più canzoni rispetto all’LP.

6. “Ovunque proteggi” di Vinicio Caposssela. Il disco è il sesto album in studio del cantautore, pubblicato nel 2006 dalla Atlantic/Warner Music. Oltre ad aggiudicarsi la Targa Tenco nel 2006 come migliore album, viene votato, nel 2007, secondo miglior album del 2006 nella categoria “world” dalla rivista Mojo. L’album contiene alcuni tra i capolavori di Capossela, dalla traccia che dà il titolo al disco a Pena de l’alma.

7. “Five Leaves Left” di Nick Drake. Questo disco, uscito nel magico 1969, segna il debutto discografico del cantautore inglese, scomparso prematuramente nel 1974. “Five leaves Left” allude alle cartine per sigarette della Rizla: all’interno un foglietto avvisa il consumatore quando restano solo cinque cartine. La casa discografica mise fretta a Drake nella ricerca del titolo, così Drake propose questa sorta di scherzo. L’album è una sequenza di perle che lasciano trasparire una malinconia perfettamente inglese, solitaria, calma e riflessiva. L’oggetto di interesse è la rievocazione dei sogni infranti del tempo dell’innocenza. Gli arrangiamenti sono superbi (vedi River Man) e i brani che compongono quest’ album non si dimenticano facilmente. La voce e la chitarra di Drake rendono i brani di “Five Leaves Left” una sequenza che si colloca al di fuori del tempo.


8. “Grace” di Jeff Buckley. Il disco esce nel 1994 e le opinioni al riguardo sono quasi unanimi: è una delle opere più significative degli anni ’90. La meravigliosa voce di Buckley, il suo talento compositivo e gli arrangiamenti dei brani, rendono Grace un disco che non ha bisogno di alcuna etichetta. Le influenze sono tantissime ed eterogenee: da Dylan agli Zeppelin, passando per Nina Simone e Leonard Cohen con sfumature che attraversano il Grunge e il Soul.Due cover lo impreziosiscono: la celebre Hallelujah di Cohen e Lilac Wine, che originariamente era un canto tradizionale intitolato Corpus Christi Carol. In Grace c’è tanto: c’è la fragilità emotiva e l’addio, la passione e la morte e poi c’è la voce di Buckley, il vero fulcro su cui fa leva l’intera opera. Nel 2004, in occasione del decimo anniversario dalla sua uscita, è stata distribuita una versione deluxe intitolata “Legacy Edition”, con due dischi e un DVD.

9. “Either Or” di Elliot Smith. La storia del rock è piena di anime inquiete, incapaci di fronteggiare la vita quotidiana, le aspettative, il confronto. Anime fragili il cui rapporto con la musica si risolve in una disarmante e totale sincerità. Elliott Smith è una di queste, una personalità timida e instabile capace di comporre brani come Between the bars, probabilmente il suo capolavoro. Una melodia struggente guidata dalla voce quasi sussurrata di Smith che affronta il tema dell’incomunicabilità e della difficoltà di rapportarsi al prossimo. Ma Either/Or è pieno di tracce memorabili, da Angeles a Alameda passando per Pictures Of me e no name #5. Un album imperdibile e basta.

10. “Spiderland” degli Slint. Era il 1991 e mentre a Seattle impazzava il Grunge, l’ultimo grande movimento musicale che ha avuto qualcosa da dire, gli Slint costruivano le basi del cosiddetto post-rock. La band di Louisville esce con questo disco unico nel suo genere che contiene una serie di ballate lente, ipnotiche, poggiate su arpeggi dilatati e quasi catatonici. Esemplare dell’intero album è la fantastica Washer. Ascoltatela e ci direte. In ogni caso, non ci sentiamo di etichettare un disco come questo, che rifugge qualsiasi categoria.

11. “The Psychedelic sounds of 13th Floor Elevator” dei 13th Floor Elevator. Uscito nel 1966, pare sia dovuta a questo disco, nemmeno troppo celebre, l’invenzione dell’espressione “rock psichedelico”. Scusate se è poco. Il primo brano, You’re gonna miss me con i suoi loop e le sue chitarre lisergiche, vi introduce alla perfezione in questo viaggio stralunato nella seconda metà degli anni ’60 con Rocky Erickson, leader della band, a farvi da autista.

12. “Eye In the sky” di Alan Parsons Project. Per finire vi piazzo il bellissimo disco degli Alan Parsons Project, di Alan Parsons ed Eric Woolfson. Questo – forse – un po’ ve lo aspettavate, ma tant’è, andava riproposto per diversi motivi. È uscito nel 1982 e resta, ad oggi, un disco bellissimo e godibile dall’inizio alla fine. I motivi: c’è Alan Parsons, tecnico del suono che lavorava agli Abbey Road Studios e, tra i suoi lavori, annovera una cosuccia come The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd, con tutto quello che ne comporta (campionamenti, suoni ecc …); c’è la voce di Eric Woolfson, ci sono brani come Eye in the sky e le sue chitarre seducenti, c’è la celebre Mammagamma, brano strumentale composto interamente con il primo sintetizzatore/campionatore digitale, il Fairlight CMI, e c’è l’intro stellare di Sirius, utilizzato per ben sei anni da sottofondo durante l’ingresso in campo dei Chicago Bulls. Ascoltatelo in cuffia oppure in un impianto Hi-Fi e non ve ne pentirete.

 

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