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Benedetta De Rosa

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5 Motivi Per (NON) Andare al 5° Compleanno Del Club 33 Giri

Lista semi-seria sul perché il 17 Febbraio tu debba rimanere a casa

Alert: chi non legge questo articolo con ironia o è un ladro o è una spia

Il Club 33 Giri compie 5 anni; se fosse un bambino vero ora saprebbe già scrivere il proprio nome e cognome, giocare a calcio, andare in bici senza rotelle, nuotare con la tavoletta senza braccioli. Per fortuna sua, ovviamente, non è un criaturiello reale. Ma i cinque anni ci sono: a volte si fanno sentire in tutta la loro stanchezza, a volte con lo stesso entusiasmo di sempre ma ci siamo; il Club è ancora in piedi, e saremmo ipocriti se vi dicessimo che non ne siamo emozionati e felici quando ci pensiamo.

Come tutti i migliori compleanni, la festa c’è. Ora, però, se parteciparvi, brindare, ascoltare, sorridere, dipende da voi. Intanto, per una volta, vogliamo andare controtendenza e scrivere per quali motivi essere al Club potrebbe tangervi. Irrimediabilmente e per sempre (fuggite, sciocchi!).

#1. È Venerdì 17

No, noi non siamo assolutamente superstiziosi. Però, dobbiamo ammettere che nessuno dei membri più assidui del Club sia il Gastone Fortunello della situazione. Forse è il triste destino di chi dedica il proprio tempo libero alle Arti, forse dovevamo sentire i consigli di zia Carmela ed iscriverci ad Ingegneria (tra i membri del Collettivo non c’è nessun ingegnere… coincidenze? Non credo), ma è un dato di fatto che, con tre traslochi, due blackout, altrettanti allagamenti, svariati problemi dell’ultimo minuto il giorno prima del Festival, siamo stati messi a dura prova dalla sfiga che, come diceva il buon Freak Antonici vede benissimo.

Per chi non lo ricordasse, la nostra associazione ha aperto i battenti esattamente un venerdì 17 (temerari), e il fatto che quest’anno coincida con l’evento (solitamente festeggiato il primo sabato dopo il 17) ci fa pensare che potrebbe, davvero, essere una grande festa. Speriamo senza morti e feriti.

 

#2. L’accoppiata Bacco + Musica dal vivo non fa bene al cuore (soprattutto al tuo)

Se il nostro bancone potesse parlare lo direbbe lui, in prima persona: “non venire al Club perché potresti innamorarti di qualcuno che lo frequenta, e l’ammore è sofferenza, quindi soffriresti, e nemmeno in silenzio”. 

Come tutti i luoghi che aggregano persone più o meno coetanee, si incontrano spesso facce nuove. Studi scientifici dimostrano che al Club si acchiappa, stateci. Non è pubblicità ingannevole e, ovviamente, non è lo stesso per tutti, ma anni di presenza dietro al bancone mi hanno fatto assistere a tantissimi primi baci, scambi di contatti fb, sigarette fumate fuori anche se fa un freddo cane e il gradino ti sta uccidendo il sedere. Complice il bancone, tutto ciò che questo dispensa e l’atmosfera davvero magica che si crea durante certi live.

Ad ogni modo, l’eventualità che possa incontrare qualcuno di interessante con cui scambiare qualche parola, in maniera disinteressata o meno, è molto alta. Indi per cui, il mondo è già abbastanza pieno di afflitti per ammore, non c’è bisogno di aumentarne il numero, forse non dovresti venire se non sei accoppiato. O forse potresti venire lo stesso e non proferire parola, siamo abituati a tutti i tipi di stranezze.

                                                                       

 

#3. Non abbiamo il wi-fi e non prende bene (quasi) nessun gestore telefonico

In sede si torna al 1997: quando l’analogia era l’unica via, quando le persone nella stessa stanza erano costrette a parlarsi, invece che puntare gli occhi in basso, verso il display del cellulare. Il caso curioso è che non solo in questa sede, che è al di sotto del livello stradale, ma anche in quella precedente non c’era campo per nessuno. Se prestate attenzione, durante le serate potrete vedere ragazzi in pellegrinaggio verso la porta del Club: da lì la leggenda vuole che si ritorni alla connettività.

Personalmente, il fatto di non essere reperibile mi piace: a volte, nelle serate belle, dimentichi persino di avere un cellulare (cosa rara di questi tempi). Dimentichi persino il cellulare, sotto il ripiano del bancone, non hai le chiavi per tornare a recuperarlo e devi aspettare l’indomani (true story). Così impari a dire che ti piace l’analogia.

 

#4. Non conosci chi suona

Siamo una piccola associazione di provincia, per fortuna o purtroppo. Non possiamo nè vogliamo competere con i grandi circoli dei capoluoghi, ma abbiamo la pretesa di offrire musica di qualità. Sicuramente non possiamo chiamare i Ministri o gli Afterhours né lo vogliamo davvero, ma chiunque passi a suonare da noi è il frutto di una ricerca, di un confronto in riunione, di un dispendio di energie per dare la possibilità a tutti di ascoltare qualcosa di diverso, inedito, lontano dai grandi circuiti ma non per questo meno emozionante. In questi tempi di crisi, che hanno visto cambiare il processo di inserimento nel mondo del lavoro, c’è stata la possibilità di concentrarsi maggiormente sulle proprie passioni; facilitati da quello strumento diabolico che è l’internet: mai come di questi tempi abbiamo visto proliferare cantautori e gruppi musicali che coraggiosamente, reggendosi in piedi grazie all’ autoproduzione, contribuiscono al panorama musicale. Tra questi c’è anche Claudio Gnut, un vecchio amico a cui vogliamo davvero molto bene, e non sarà solo. Andare ad un live senza conoscere chi e cosa verrà suonato potrebbe essere una sorpresa, nel bene e nel male. Vale la pena fidarsi, ogni tanto, a scatola chiusa.

 

#5. Il Club non è più lo stesso degli inizi

Questa frase ogni tanto ritorna. A dircela, spesso, sono proprio quelle stesse persone che cinque anni fa lo frequentavano più assiduamente e, magari dopo un periodo fuori, tornano a Santa Maria e ripassano in sede. Non può che essere vera, ma non nell’accezione malinconica con cui viene formulata. È una realtà: il Club è cambiato, si è evoluto, ha preso una forma diversa rimanendo sempre quello per cui è nato. Anche le persone che lo vivono sono cambiate; alcuni, per i motivi più svariati, non ci sono più, altri hanno cercato, in parallelo alle proprie vite, a continuare a dare il proprio contributo. Ognuno di noi, se rivedesse il se stesso di cinque anni fa, si troverebbe diverso. Ma il Club è sempre fatto da persone che portano un proprio punto di vista e anche soltanto per questo lo arricchiscono. Spesso si dice che la vita vera di un’associazione si percepisca non durante un evento ma prima: alle riunioni del mercoledì sera aperte a tutti, soci e curiosi; nelle sere stanche con la testa pesante a far conti, a cercare di capire come realizzare qualcosa con un budget davvero risicato; nell’organizzazione per le pulizie, i turni dietro il bancone, dietro il banchetto delle iscrizioni; nella fatica del montare e dello smontare la strumentazione, anche se è tardi e vorresti andare solo a dormire. The dark side of  un’associazione è l’insieme di responsabilità che rendono la “macchina” funzionante. Anche buttare il vetro è importante, per dirne una. Per tutto il resto, il Club è lì (almeno per il momento), aperto a chiunque voglia dargli una mano, anche solo nel portare un sacco di spazzatura su.

Perché anche questo è il bello: sapere che se un giorno io mi trasferirò in Sicilia, per dirne una, ci sarà comunque qualcuno che ricorderà quanto sia importante fare un applauso motivatore prima della riunione. Al di là dei personalismi c’è un insieme di persone. E il Club 33 Giri è fatto di queste.

 

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Altro (Tornei, ecc) Eventi

Unlearning: proiezione docufilm sulla “decrescita felice” di una famiglia alla ricerca del pollo a quattro zampe

La vita inizia alla fine della tua zona di comfort

unlearning

Se penso alla famiglia Basadonne composta da Lucio, Anna e la piccola Gaia,  che ospiteremo giovedì 9 aprile alle 20.30 per l’unica proiezione campana del docufilm  “Unlearning”, girato durante i sei mesi di “decrescita felice” in giro per tutta l’Europa, mi viene in mente una frase di Tiziano Terzani, tratta da una delle sue ultime interviste: “se ci sono due strade, una piana e una in salita…beh, ti consiglio di scegliere quella in salita; ti troverai sicuramente meglio”.  Ovviamente,  Terzani  non si riferisce al complicarsi in maniera masochista l’esistenza e al mettersi volontariamente in situazioni infelici ma, piuttosto, a quelle situazioni poco comode che portate avanti, tuttavia, provocano in noi momenti di reale felicità.   È quello che succede quando si sconfina e si esce dalla propria comfort-zone, ovvero quell’insieme di abitudini quotidiane che ci fanno sentire sicuri e protetti nella nostra routine. Quando si decide di prendere la strada in salita invece che continuare a percorrere il sentiero pianeggiante qualcosa cambia in noi stessi e nel nostro modo di affrontare la vita. Questo è indubbio.

C’è un’espressione tutta campana, “darsi i pizzichi sulla pancia”, che rende perfettamente questa corrente di pensiero. Spesso accade qualcosa che ci fa fare i conti con noi stessi e ci smuove, “un pizzico” alla volta, verso un modo di agire più affine all’ideale di vita che immaginiamo e a cui aspiriamo.

Per la famiglia Basadonne, tutto incomincia da un disegno di Gaia; un pollo a quattro zampe: non solo il frutto della fantasia infantile, ma il risultato di un ragionamento ovvio: se al supermercato si vendono, imballate, quattro cosce di pollo alla volta vuol dire che il pollo ha quattro zampe. Questo disegno scuote Anna, la mamma di Gaia, e si insinua nella sua mente: “com’è possibile che nostra figlia non abbia idea di come sia realmente un pollo?!?”. Coraggiosamente Anna e Lucio decidono di andare a “caccia di polli” e non solo, per sei mesi, in giro in tutta l’Europa, con 600 euro in tutto, avvalendosi della prima forma di scambio di beni esistita, il baratto. Hanno raccolto una piccola somma grazie al crowdfunding; viaggiato con blabla car scambiando i passaggi su time republik, la più grande banca del tempo italiana; dormito grazie a siti che mettono in contatto viaggiatori con ospiti che in cambio di qualche ora di lavoro  assicurano vitto e alloggio (woofing, helpx, workaway); messo a disposizione la loro casa grazie ad air bnb per chi fosse di passaggio a Genova; insomma, vissuto sei mesi indimenticabili. Il girato, realizzato da Lucio, regista di professione, ora è diventato un dvd pieno di vita e di spunti di riflessione, ma soprattutto di azione.

Perché scegliendo la strada in salita si suda e si fatica almeno il doppio, ma la vista, arrivati su, è indescrivibile.

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Il pollo a quattro zampe vi aspetta giovedì 9 aprile alle 21,00. Ingresso gratuito per tutti i tesserati.

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Grand Re-Re-Re Op3ning. The days after.

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Sicché sabato abbiamo riaperto. Per la terza volta in una nuova casa.

Ogni evento è sempre la stessa storia, figuratevi per questo, dopo mesi di “silenzio”: veniamo presi da ansie infantili, tipo quella da sindrome d’abbandono al supermercato o quella da festa di compleanno poco riuscita (è capitato a tutti, da bambini, dite la verità). Questa volta, probabilmente, era un’ansia stupida (ora trovatemi un’ansia intelligente): prima di tutto, l’evento Facebook è andato alla grande, 160 parteciperò non li abbiamo avuti mai per un evento indoor, sono quasi sicura di ciò; secondo di tutto, abbiamo talmente martellato amiciparenticonoscenticolleghivicinidicasaparrucchieriestetistepsicoterapeuticanigattiecincillà che, in fondo, lo sapevamo che qualcuno sarebbe arrivato e tutte quelle birre, quel vino, sarebbero stati bevuti, e non soltanto da noi.

Poi, a parte lo spam molesto verso chiunque ci fosse capitato a tiro, abbiamo pensato che qualche uomo probo incuriosito dalla nuova sede ci sarebbe stato, chi non ama le belle novità, in fondo?

Già, la nuova sede…bisognerebbe aprire un capitolo a parte solo per descrivere i lavori : immaginate tante teste, tante mani, tanti nervi (immancabili, ahinoi) ad imbiancare, tagliare giornali, montare un trabattello, sfidare le vertigini e salirci su (io, personalmente, l’ho preso proprio come un rito di iniziazione, nà roba superseria, per autoconvincermi a salirci, anche se in modalità bradipo, quando poi c’erano gli altri che ci si arrampicavano come delle agilissime scimmiette circensi), costruire quel palco superstratosferico (un ringraziamento infinito al buon Devi Trepiccione che lo ha realizzato, montato, testato e ci ha soccorso in questi giorni di preparazione con consigli e aiuti concreti), gli specchi, le mensole, il bancone e, insomma, tutto quello che avete visto e che vedrete, se sabato non ci siete stati.

Se metti che c’era anche un signor gruppo su quel palco fantastico, allora ti rendi conto che, in effetti, la serata aveva molti presupposti per andare bene: c’erano i Buddha Superoverdrive, ovvero Valerio De Martino alla voce e al basso e Jonathan Maurano alla batteria. Sulla carta il loro genere sarebbe rock/hard blues, una roba che tra la nostra sede di via Tari e la primissima di via Gallozzi non abbiamo mai ospitato. Li abbiamo scelti perché, volevamo aprire col botto, nel vero senso della parola, e direi che il loro live ha soddisfatto tutte le aspettative, se non di più.

buddha superoverdrive

Il tutto seguito da un live set del giovanissimo producer Talpa, ovvero Christian Gravante, che con la sua Cocacola si è aggiudicato il premio come “artista più sobrio che sia passato nel 33 giri da sempre”, ma non lasciatevi ingannare dalle apparenze, quello che conta è che è bravo davvero e se lo è così tanto a 15 anni, figuratevi come sarà quando crescerà, nel senso artistico e letterale del termine.

talpa

È andato tutto più che bene: eravate tanti, tantissimi, avete invaso il vialetto, il parcheggio, tutto; con il rivedersi, salutarsi, abbracciarsi, il silenzio della zona che ci aveva un po’ spaventato i giorni precedenti, è scomparso in un allegro vociare (per la gioia dei nostri nuovi vicini, alè!) e c’era, davvero er panico della gente.

gente ovunque; sopra, sotto, dentro e fuori...
Gente ovunque; sopra, sotto, dentro e fuori…

Questo è quello che ripaga ogni litigio, ansia, momento di stress, della preparazione: essere riusciti a creare un bel momento, una bella serata, per noi e per chi decide di partecipare, esserci.

Un grazie sincero a chi in questi giorni ci ha aiutato concretamente; a chi ci ha chiesto con vero interesse come andassero i lavori; a chi da lontano, ci ha fatto sentire il suo supporto; a chi ha fatto chilometri per venirci a salutare; a chi è stato così gentile da farci un regalo, per “buon augurio”; a quei nostri intrepidi genitori che hanno sfidato la musica “rumorosa”  per venire a vedere, con una punta di orgoglio (seppur ben mascherata) cosa avessero combinato i propri figli.

Abbiamo solo riaperto le danze, le musiche e le bottiglie. Le prime di tante, tante altre.

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(Foto di Roberta Cacciapuoti)

 

 

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Ogni benedetta prima domenica del mese

Qualche giorno fa un gruppetto di sett-ott e nuje ha lasciato a brontolare, per qualche ora, i propri demoni dell’inadempienza (tutti ne abbiamo uno, altro che chiacchiere) e ha varcato la Casilina  in cerca di bellezza con cui riempirsi gli occhi (e  un po’ di indignazione, sulla scarsa valorizzazione di questa bellezza, con cui riempirsi la testa, ammettiamolo).

E la cittadina di Teano, alle pendici del massiccio montuoso di Roccamonfina, nota ai più per il celeberrimo luogo dell’incontro più disgraziato della storia dell’Unità d’Italia (il primo, appunto), distante solo una trentina di km dalla nostra nuova sede (sulla cui ubicazione, per i più, aleggia ancora il mistero di Fatima, lo sappiamo, ma presto ci sbottoneremo, state quieti), di bellezza ne ha proprio tanta.

Non è dell’incontro “unitario”, il 26 ottobre 1860, di cui ci siamo interessati, né di conseguenza del museo garibaldino (anche perché non avremmo potuto: chiuso nei giorni festivi perché gestito con orari d’ufficio mentre noi, come la stragrande maggioranza dei turisti o girovaghi, ci siamo spostati nel fine settimana). Ci siamo buttati, invece, sull’archeologia: il Museo Archeologico e il Teatro antico, che sono SEMPRE ad ingresso libero, non solo ogni prima domenica del mese (“ogni tanto lo Stato ci fa un regalo” mi ha detto il custode all’ingresso, io ho sorriso, anche se avrei voluto dirgli che lo Stato regali così potrebbe farceli ovunque e sempre, se solo volesse davvero).

Ora, credo che se solo cercassi di parlare in modo divulgativo/polpettonesco del sito e del museo la maggior parte di voi, già scarsi lettori (nel senso di pochi, eh), abbandonerebbe la pagina, quindi, per il bene di tutti, mi limiterò a parlarvi, appellandomi al dio della sintesi che non mi è molto propizio, di quello che proprio non dovreste lasciarvi scappare tra il museo e il teatro dell’antica Teanum Sidicinum; cercate di resistere, suvvia.

#1: Teatro greco o teatro romano?

Dipende. La prima fase del teatro, quella di età repubblicana, 120-100 a.C., ha uno stile che si rifà a quello dei teatri ellenistici di Sicilia e Magna Grecia, con caratteristiche strutturali innovative per il tempo che diventeranno tipiche dei successivi teatri di tipo romano. Di ispirazione greca è anche il fatto che sorga alle spalle della collina, seppur il rapporto tra i due è solo apparente e non propriamente strutturale. Una curiosità in più, in cima alle gradinate del teatro sorgeva un tempio, probabilmente dedicato ad Apollo, che oltre ad essere il dio del sole, come ci suggerisce l’istruttiva ed educativa “Pollon combinaguai”, era soprattutto il dio delle arti.

Qualcuno definisce questo stile “greco-romano“, qualcun altro “italico” o “romano arcaico” ma nessuno ha torto e nessuno ha ragione.

La seconda fase del teatro, invece, quella imperiale, di fine II sec. d. C. (parliamo di Settimio Severo), vede il teatro rivestito di marmi e decori con un gusto prettamente romano, per questo sul sito ci sono grandiosi capitelli e rocchi di colonne proprio come quelli dei Fori imperiali di Roma, tanto per dirne una. È davvero impressionante vederli buttati così, come se un Hulk gigantesco li avesse volutamente ribaltati, anche perché sono ammassati insieme elementi che appartenevano a zone diverse, fateci caso. Questi e l’intonaco rosso, ancora presente su alcuni muri, personalmente, è quello che mi ha colpito di più. In realtà tutte le zone di accesso alle gradinate erano rivestite con intonaci e stucchi, col tempo crollati, lasciando alla luce solo l’ossatura della struttura, anticamente ricoperta da colore, forte e vivo ovunque si potesse posare l’occhio.

#2: Prendo un Loggione e ci faccio un Museo

Partendo dal presupposto che sapessimo già cosa fosse il “Loggione”, ci mandano qui per visitare il museo: in un edificio costruito nella seconda metà del XIV sec. sul tracciato di antiche mura preromane, importantissimo per la vita politica, amministrativa e giudiziaria della città e, in particolar modo nella sala d’armi o scuderia (come suggerisce la seconda denominazione, Cavallerizza), è stato allestito il percorso espositivo del museo.

Diviso in due parti, il percorso ci accompagna dalla semplice vita in villaggio dei Sidicini, popolazione italica di lingua osca, alla successiva urbanizzazione dovuta all’entrata militare di Roma in questi territori, che, dalla metà del quarto secolo a. C. cambiò radicalmente le carte in tavola, non solo dal punto di vista politico ma soprattutto sociale, portando novità, facilitando gli scambi commerciali e le ricchezze. Lo notiamo, per esempio, dalle steli funerarie nella seconda sala che rappresentano personalità importanti tra i Sidicini vestiti alla romana. Una sorta di “globalizzazione” era già in corso: si passa dalla statuaria fittile, quindi in ceramica della prima sala, unica nel suo genere, a quella, seppur di qualche secolo successiva, romanizzata, che potremmo trovare benissimo in ogni altro centro altrettanto importante dell’epoca.

#3: Oltre alle pietre c’è di più

La fortuna o  sfortuna, dipende dai punti di vista, di un posto come Teano è che ha delle caratteristiche utili a chiunque abbia mire espansionistiche e voglia stare abbastanza in alto da controllare il basso Lazio e l’alta Campania. Proprio ciò ha fatto di questa cittadina un luogo di passaggio incredibile; oltre i Sidicini e  Romani; i Longobardi e i monaci benedettini; i feudatari e poi i latifondisti; le famiglie nobili come quelle dei Carafa, dei Marzano, fino al duca di Sermoneta, ognuno ha lasciato un segno del suo passaggio.

Influssi provenienti da ogni dove, storie intrecciate in cui rivedersi e da cui imparare qualcosa di nuovo, solo a pochi passi da casa.

Andateci, non solo perché ogni prima domenica del mese son tutti a farsi i selfie sotto le statue, ma perché ne vale la pena, almeno un po’.

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Per info:

http://www.cir.campania.beniculturali.it/luoghi-della-cultura/cavallerizza-teano/museo-archeologico-di-teanum-sidicinum

Clicca qui per sapere come arrivare (ho fatto partire il percorso dall’Anfiteatro di Santa Maria, ma non è quella la nostra sede nuova, sorry):

 

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Cinque motivi per approfittare di ogni prima domenica del mese

 

Con il decreto Franceschini, in vigore dal primo luglio di quest’anno, torna #DomenicaalMuseo: ogni prima domenica di ogni mese tutti i siti archeologici, musei, gallerie, parchi e giardini monumentali dello Stato possono essere visitati, fotografati, vissuti, gratis.

Noi, che a volte ci sentiamo, indegnamente, come le Muse di Hercole (“Tesoro, vuoi dire Maschiole!”), cultori e disseminatori di sprazzi di cultura (è davvero una parolona), speriamo che quest’iniziativa non sia solo fumo negli occhi per allontanare l’attenzione dai problemi reali del nostro patrimonio artistico, ma che sia il primo passo per una valorizzazione seria e consapevole.

 

 

La serietà, per ora, a noi non compete mentre la consapevolezza di ogni piccolo barlume di bellezza che ci circonda è un nostro dovere, come esseri umani, vivi e pensanti in questo mondo. Perciò, in maniera più scanzonata possibile, cercheremo di far conoscere, ogni mese, un pezzetto di storia in più; sarà come sfogliare un vecchio album di famiglia, e poi il vintage mai come ora si porta assai.

 

Incominciamo da cinque buoni motivi per farsi un giro, magari proprio domenica prossima (prima, dopo o durante il mare) :

 

#1. Parliamoci chiaro: fa figo. Girare per musei o per qualsiasi altro luogo di cultura generalmente poco frequentato vi potrà dare quel tocco in più che a volte manca in conversazioni di vero “spessore”. Il campionato non è ancora iniziato e persino la tanto celebrata serie “Gomorra” (che sembra abbiate visto tutti tranne me) sta perdendo di interesse…ma volete mettere buttare così, con molta nonchalance un “domani pomeriggio non posso scendere con voi, vado al museo”?!?

Penseranno che siete proprio una persona sensibilebellainteressanteacculturata. E lo siete, ah, se lo siete.

 

Fate cose, vedete gente; certo

 

#2. “Anche io da grande volevo fare l’archeologo!”

 

Ovunque si vada ci si può imbattere in un museo, un parco, un sito archeologico, un palazzo o una biblioteca che varrebbero la pena essere visitati. Le “autostrade per l’Italia” ad ogni casello o area di servizio ci ricordano, inquietantemente, che “siamo in un paese meraviglioso” e, a volte, stentiamo davvero a crederlo. Quando ci infiliamo in un “luogo di cultura” spesso se non abbiamo le facoltà o la voglia (o semplicemente nessuno ce la vende) di acquistare una guida dobbiamo imbatterci nella cartellonistica museale, quei pannelli lunghi quanto i papiri della biblioteca di Alessandria d’ Egitto che dovrebbero spiegarci vita, opere e miracoli di quel luogo. Spesso li ignoriamo perché noiosi e poco comprensibili…Capita a tutti.

Ma fare uno sforzo e provare ad integrare la parola scritta con il circostante potrebbe davvero valere la pena, vi sentirete come il buon Jean François Champollion che decifra la stele di Rosetta, senza dover nemmeno studiare la grammatica greca (e, ditemi la verità, un po’ tutti da piccoli sognavate di fare gli archeologi, o no?).

 

 

Sorry, ma è il video più didattico che abbiamo trovato sulla Stele di Rosetta

#3. Enjoy the silence.

I musei sono un mondo a parte: sorgono in zone cittadine centrali, ma sono la pace dei sensi: silenziosi, forse pure troppo; il mondo fuori non li riguarda e il tempo a volte sembra davvero si sia fermato.

Certo, a meno che non andiate alla Galleria degli Uffizi, al Colosseo o nei Musei Vaticani, dove di silenzio ce n’è ben poco.

Ma non parliamo di questi; parliamo dei nostri piccoli musei di provincia; gli addetti alla vigilanza (o custodi, o come li volete chiamare voi) vi guarderanno alla biglietteria come se foste dei bambini che stanno andando a giocare col SuperSantos in mezzo al parco condominiale alle tre di un pomeriggio d’estate, ma voi fregatevene, la pace dei musei e dei parchi archeologici è solo fittizia e non vuol dire noia: tutto pullula di vita, e di certo la vostra presenza lì lo attesta. Il museo non è di chi lo custodisce, ma di chi lo vive, davvero, girando per le teche cercando di capirci qualcosa in più. Le reazioni brusche del personale museale sono dovute solo allo shock iniziale da visitatore: dopo qualche minuto quelle facce burbere saranno più che disposte a scortarvi nel vostro personale viaggio nel tempo, ve lo posso assicurare.

 

Pensate che sui custodi ci hanno scritto addirittura una canzone

#4. Bagni (quasi) sempre puliti.

Guarda caso, domenica prossima, la prima del mese, vi trovate in giro e avvertite, nel bel mezzo della vostra passeggiata verso l’infinito e oltre, quel bisogno impellente. Se siete nei paraggi di un museo o di un sito archeologico potrete liberarvi, qualsiasi peso abbiate, e unire l’utile al dilettevole facendovi un giro, anche giusto per non dare quell’impressione poco seria di uno che è entrato solo per usare il bagno. Che, sicuramente, sarà più pulito di qualsiasi toilette dei bar vicini.

 

#5. Just my imagination.

La mia motivazione preferita. Perché quello a cui buttiamo lo sguardo non è sempre stato così. I “coccetti” antichi erano usati nella vita quotidiana proprio come i nostri piatti, bicchieri, contenitori; anzi, il più delle volte quelli che abbiamo nelle nostre case in confronto sono una robetta molto triste. I siti archeologici, quattro “pietre vecchie” tenute in piedi chissà come, erano riccamente rivestiti con materiali pregiati, ricchi e colorati (molto di più di quello che pensiamo). Le gallerie ed i parchi stessi erano luoghi che ospitavano vita, fatti, intrallazzi e situazioni di ogni genere e sorta. Gli stessi edifici che ora ospitano i musei, nella maggior parte dei casi erano adibiti a tutt’altro.

Se durante la nostra prossima visita in un qualsiasi “contenitore di bellezza” chiudessimo per un attimo gli occhi e provassimo ad immaginare tutto questo, ci renderemmo conto di non essere molto diversi da chi ci ha preceduto, e sapere quello che è successo fino a ora potrebbe farci andare avanti con più serenità.

Male non può fare e, addirittura, potrebbe pure piacervi.

 

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